Ipocondria: nulla di più deludente sentirsi dire “Lei non ha niente!”. Nulla di più umiliante sentirsi definire “malato immaginario”, come Argante, il protagonista della commedia di Molière. Una situazione paradossale: da una parte il malato che accusa dolori precisi, soggettivamente reali; dall’altra, un medico, i medici, che, dopo accurate indagini cliniche e strumentali, sentenziano l’assoluta assenza di patologia somatica. “Bilanci negativi”, li hanno definiti con linguaggio tipicamente elusivo, che denuncia l’impossibilità di dare un nome a ciò che non si può nominare. Inizia allora, da parte del paziente, la peregrinazione da uno specialista all’altro (e a volte la collezione di diagnosi), nella speranza che qualcuno gli dica quale organo, o apparato, è malato nel suo corpo, perché, una volta trovato il male, è facile poi trovare la medicina! E passa da una delusione all’altra…
Finché qualcuno non suggerisce, sotto voce, la parola temuta: lo psichiatra! La reazione è classica: “Non sono mica matto, io!”. In alternativa: lo psicoterapeuta. Forti resistenze, negazione di un problema che non si vede; la medicina, invece, con i suoi strumenti “vede” tutto ciò che c’è da vedere, ed è creduta l’unica che può dare risposta al dolore. La maggior parte di questi malati preferisce farsi esplorare con ogni sorta di strumentazione, pur di porre fine alle proprie sofferenze una volta trovato “il male”. Molti medici si prestano a questo gioco delle parti, perché bisogna pur dare una risposta al paziente; e non si accorgono che c’è un linguaggio “altro”, espresso dal corpo e dal sintomo, che non sempre viene compreso. Certamente il dolore va tenuto sotto controllo con i moderni farmaci che alleviano la sofferenza; ma contemporaneamente va segnalato al paziente che sta tentando di esprimere qualcos’altro che forse non riesce a dire con le parole. Il medico, invece, spesso cade nella trappola: il paziente tende a ripetere con lui la stessa strategia iniziata in tempi non sospetti, i primi anni di vita, quando è mancata la possibilità di vedere nel volto della madre qualcuno diverso da sé; il medico al posto della madre! Il medico che non sa dare risposte, ridotto all’impotenza da un paziente che continua a lamentarsi dei propri dolori. Una problematica complessa, impossibile da spiegare in queste poche righe, ma che richiede l’intervento dell’esperto in psicosomatica.
Il dramma dell’ipocondria è antico: la carenza di elaborazione teorica, che non ha permesso di mettere a punto una adeguata strategia clinica. Da alcuni anni i colleghi francesi che si occupano di psicosomatica hanno cercato di colmare la “disgraziata lacuna” (come fu definita al tempo di Freud), proponendo una concezione psicosomatica dell’ipocondria, facendola risalire ad una patologia della relazione che impedisce il pensiero.
Il paziente ipocondriaco, che soffre realmente, ha bisogno di ricostituire una relazione, ma disgraziatamente ripropone con tutte le persone cui si rivolge la modalità patologica. Il medico è certamente necessario, il farmacista può consigliare; ma trattandosi di una condizione grave e complessa, è necessario l’aiuto di un esperto psicoterapeuta che aiuti il malato a costruire relazioni sane. Il problema rimane sempre lo stesso: chi ascolta il linguaggio del corpo? Chissà che l’ascolto giusto non cominci proprio in uno studio medico o in farmacia, per continuare poi altrove…
Claudio Gerbino,
psicologo, psicoterapeuta, psicopedagogista